Il Garolfo osserva il signore anziano che si affretta, ringraziando deferente, a solcare le strisce. Quasi temesse di fare perdere tempo prezioso all’automobilista che ha arrestato il proprio mezzo, non prima di aver fatto ampi e magnanimi cenni di invito concessorio ad attraversare la ‘sua’ lingua d’asfalto. Analogamente, medita il Garo, lo stesso umano al volante dovrebbe ringraziare ogniqualvolta un altro suo simile alla guida di un veicolo a motore, gli concede la precedenza in rotonda o rispetta il semaforo rosso all’incrocio. Ma così, tra ‘padroni’ della strada, non è. Perché, tra pari, ci si limita (purtroppo solo nella discreta parte dei casi), all’elementare rispetto delle regole. Niente diritti scambiati per assensi. Agli ‘ospiti’, invece, come chi va a piedi o in bicicletta, quando non si va di fretta, non si ha il ‘piede del freno’ slogato, non si è di umore nero, o si ha semplice desiderio, ci si limita a ‘concedere’. Per senso civico, talvolta. Per grazia, cortesia, magnanimità, nel resto dei casi.
Perché lo spazio pubblico, dal dopoguerra, è delle automobili. È forgiato ‘tutto intorno a loro’, parafrasando la Megan, testimonial (che fu), della celebre compagnia telefonica. E tutte le entità prive di un carapace metallico (o, sempre più spesso, di plastica, che il ferro costa), sono ospiti fastidiose ed intralcianti di uno spazio ghermito da questi oggetti che pesano tonnellate, dotati di uno due o più tubi di scappamento, che spostano sì e no una persona di 70 chili e mezzo bagaglio a mano.
Ecco che il Garolfo sogna uno spazio pubblico dove tutti continuino a ringraziarsi ed a salutarsi, certo. Ma senza ospiti o padroni. Dove bambini ed adulti possano muoversi, correre, giocare. Liberi dalle gabbie sonore e mentali degli ‘stai attento alla macchina!’. Liberi di disegnare sui selciati, coi gessi colorati, casette col fumo, nuvole, montagne imbiancate su cieli blu. Ciascuno parte ‘pari’ di una comunità condividente, sociale, equa, democratica, colorata.